Delle volte le bugie falliscono
miseramente secondo Ekman. Paul Ekman è l'autore a cui mi sto riferendo negli
ultimi interventi. Tutto è nato dal telefilm Lie to Me in cui il protagonista
(Tim Roth) riesce a scoprire se una persona menta dall'atteggiamento e dalle
espressioni facciali, le cosiddette microespressioni. Potete leggere
l'intervento più in basso se non sapete di cosa sto parlando. Perché le bugie
non riescono? È la domanda del post di oggi.
Esistono varie ragioni. È principalmente perché
si ha timore del destinatario della menzogna, di indole sospettosa, o per via
della sua autorevolezza. Oppure, il mentitore ha semplicemente poca fiducia in
se stesso; non è abituato a questo genere di cose, con la conseguenza di aver
paura di essere scoperto. Il timore può anche vertere sull'immaginarsi le
conseguenze delle proprie azioni e le possibili ripercussioni sulla propria
immagine pubblica. Tutta questa posta in gioco genera apprensione, un
particolare, intenso sentimento che si instaura nella mente e, come un tarlo, contagia
l'intero individuo. Indizi rivelatori, gesti inconsulti, sudorazione, tic
nervosi e lapsus: il mentitore sarà come posseduto da se stesso.
Bisogna ricordare che non esiste
un singolo muscolo della faccia deputato all'inganno, al contrario del famoso muscolo
del pensiero di Darwin. Esistono una serie di indizi
corporei, chiamiamoli di "possessione", che mettono in allerta il
destinatario della menzogna. Ma come ci comportiamo quando vogliamo scoprire se
la persona che ci sta di fronte ci stia mentendo? Tutti noi, o la maggior
parte, per cercare di capirlo si basa sul lessico, su quello che la persona sta
dicendo, o sulle espressioni facciali (tutti ci reputiamo in gamba nel
riconoscerle). Ma non è la strada giusta da perseguire. Le sopra appena citate,
sono in assoluto le due cose che l'essere umano ha imparato meglio a
controllare e a tenere a bada. È la voce, il corpo, la postura, gli indizi di
possessione quelli più attendibili e da tenere in considerazione per lo
smascheramento. È, infatti, proprio il fatto di essere occupati a soppesare le
parole e a controllare le espressioni che si usano a lasciare "libero
sfogo" al resto del corpo. In qualche modo le emozioni trovano canali di
esternazione alternativi.
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